Le sculture di bronzo nella tradizione greca

pugile

L’arte greca che è pervenuta fino a noi è costituita soprattutto da scultore e da esempi di architettura,principalmente templi, poco ci è rimasto invece della pittura. Durante il periodo di formazione (XII-VII secolo a.C circa) e l’età arcaica (VIII sec – 496 ca) le sculture erano soprattutto in terracotta e materiale calcareo, mentre durante il periodo classico si usa prevalentemente il bronzo (materiale che si ottiene da una lega di stagno e rame). Nel immaginario comune poche sono le statue in bronzo, questo perché le statue del periodo classico giunte fino a noi sono sopratutto copie successive, spesso di periodo ellenistico o romano, in marmo, mentre le originali erano in bronzo. Infatti in periodo ellenistico nacquero proprio delle botteghe specializzate nel produrre copie marmoree di statue bronzee famose. Pochi erano gli scultori che continuavano ad usare marmo o altri materiali, mentre il bronzo divenne un materiale molto utilizzato perché era più resistente del marmo e aveva una maggiore stabilità senza bisogno di supporti esterni alla figura, non c’erano quindi parti della statua al di fuori del soggetto che si voleva rappresentare, infatti venivano utilizzati dei contrappesi interi, in questo modo quando venivano realizzate le copie in marmo sorgeva il problema della stabilità. Quando si pensa alle sculture in bronzo si pensa automaticamente ai due bronzi di Riace, ma prima di loro ce ne furono molti e molti a loro successivi, non solo nella cultura greca ma anche in quella italica e successivamente in quella romana, rinascimentale e moderna.

La tecnica che viene usata per ottenere le statue in bronzo si chiama a Cera persa, e ne esistono due varianti, il modo diretto e il modo indiretto, ed è la stessa tecnica con cui vennero realizzate statue in bronzo più recenti come il David di Donatello. Il modo diretto consiste nel realizzare un modello in creta sul quale viene applicato un altro modello in cera su cui viene creato uno stampo in argilla nei quali sono presenti tue canali per colare il bronzo e uno per far scolare la cera fusa. Infatti lo stampo con la statua al suo interno viene scaldata così la cera applicata sul modello di argilla si scioglie, lasciando un intercapedine fra il modello di argilla e lo stampo che verrà riempito con bronzo fuso. In questo modo si libera la statua dallo stampo di argilla e si procede eseguendo le rifiniture con gli strumenti necessari.

Il metodo indiretto è molto simile con la differenza che si otterrà una statua di bronzo piena, quindi il bronzo non rivestirà solo la parte esterna di un modello in argilla ma sarà tutta in bronzo. Infatti questa volta il modello viene eseguito in cera, poi si fa lo stampo in argilla, viene riscaldato, si scioglie il modello e si cola all’interno dello stampo il bronzo fuso.

Ma queste statue non erano realizzate solo in bronzo, spesso si usavano altri materiali per i dettagli come i denti (che nel Bronzo A, sono in argento), o gli occhi in pietra e avorio o le labbra e i capezzoli in rame rosso.

Le statue in bronzo più antiche che ci sono pervenute appartengono all’età classica, infatti durante l’età di formazione le statue erano prevalentemente in terracotta dipinta d erano principalmente idoli votivi, nell’età arcaica invece la scultura era eseguita su calcare, ed alcuni esempi sono i numerosi Kouros e le korai e le statue dei frontoni. Il bronzo continuò ad essere usato dalle popolazioni italiche e dai romani.

Uno dei primi esempi di sculture in bronzo è lo Zeus di Capo Artemisio  (ca 460 a.C) conservato ad Atene al museo archeologico nazionale.

Zeus (o Poseidone) di Capo Artemisio
Zeus (o Poseidone) di Capo Artemisio

Questa statua appartiene allo stile severo. Lo stile severo si sviluppa tra la fine del VI secolo e la conclusione delle Guerre Persiane, la cui vittoria finale avvenne a Platea nel 479 a.C. Questo stile precede l’inizio e lo sviluppo dello stile classico. Il suo nome non è dovuto alla volontà dello scultore di dare un’ aspetto austero alle sue statue ma solo dalla scomparsa di quel sorriso che caratterizza il volto delle statue arcaiche. Con questo stile la testa smette di essere piccola e schiacciata fra piani ortogonali ma diventa tondeggiante e acquista via via proporzioni più precise, n questo modo gli occhi e la bocca acquistano dimensioni e una collocazione corretta. Le palpebre prendono prendono consistenza. Le treccine in cui erano raccolti i capelli nelle statue arcaiche diventano ciocche ondulate e una treccia che cinge la testa. La massa muscolare viene definita con maggiore tridimensionalità, e distribuita a creare un insieme più armonico. Le gambe si assottigliano verso le ginocchia, e si creano delle proporzioni che rendono la figura più slanciata. Le linee che delineano la muscolatura dell’addome e l’inguine sono più morbide e tondeggianti. Tutti questi accorgimenti sono volti alla ricerca di una maggiore vitalità della statua cercando di togliere la rigidità tipica delle statue precedenti. Questa ricerca porterà ad un scultura sempre più raffina e questi sopi la guideranno per tutto il periodo classico ed ellenistico.

La statua, come i bronzi di Riace, deve il suo nome al luogo dove è stata ritrovata. Rinvenuta nel mare di Capo Artemisio a Nord dell’isola di Eubea, a nord dell’arcipelago delle Cicladi fra il 1926 e il 1928. Venne ritrovato nei pressi di un relitto databile intorno al 200 a.C circa, anche se non si sa con certezza se la statua fosse imbarcata o meno. L’opera risale circa al 460 a.C. ed è attribuita o a Calamide o ad un artista della sua cerchia Calamide fu un artista che operò in o Beozia o nella regione Attica fra il 480 e il 440 a.C. È alta 209 cm. Non si è sicuri del soggetto che potrebbe essere sia Zeus che Poseidone. Il dio è immortalato nell’istante in cui stava lanciando o il fulmine o il tridente (a seconda che il soggetto sia Poseidone o Zeus per questo a volte viene chiamato Cronide, cioè figlio di Crono, in quanto sia Zeus che Poseidone erano figli di questo titano). Il volto è contornato dai capelli e dalla barba entrambi disposi in ciocche ricce, mancano gli occhi che probabilmente erano in avorio e le sopracciglia che si pensa fossero in argento., probabilmente la bocca e i capezzoli erano rivestiti in rame. Le gambe sono divaricate, a cercare la stabilità rima del lancio, di bilanciamento, il piede sinistro è saldamente appoggiato a terra mentre il destro è appoggiato solo con la punta. E braccia sono sollevate quasi a formare una croce, in questo l’intera figura può essere racchiusa all’interno di un immaginario quadrato. La figura rispetta  i canoni policletei del chiasmo,  della ponderazione e della proporzione. Nonostante la posizione ci suggerisca l’istante prima del lancio, ne l’espressione del volto ne l’atteggiamento della muscolatura ci suggeriscono la tensione prima del gesto, dell’azione anzi il corpo sembra fermo e statico. La statua propone, ancora, come migliore visione, per ammirarne tutte le qualità, quella frontale, cioè parallela al busto. Con questa statua e con quelle che la seguiranno, la figura umana viene portata sempre più verso la perfezione con un concetto tipicamente greco che Protagora riassumerà in “L’uomo è la misura di tutte le cose”.

Sempre presso capo Artemisio venne rinvenuta la statua del “Fantino”

Fantino
Fantino

Anche questa statua è conservata al museo archeologico di Atene. È un’opera ellenistica che appartiene al II sec. a.C. che è capace di trasmetterci una grande sensazione di pathos e movimento. L’opera è anonima è rappresenta un fantino su un cavallo che sta correndo. Rappresenta un movimento frenetico, concitato, sfrenato, convulso. Il movimento, l’azione è tutta proiettato in avanti.Il cavallo ha le orecchie abbassate, le narici dilatate e la bocca aperta a testimoniare il grande sforzo che sta facendo. Ogni muscolo dell’animale è teso e si prepara per realizzare il balzo che forse farà vincere la gara al suo giovane fantino. Ho parlato di una gara forse perché il fantino sembra davvero molto eccitato nel viso e sembra quasi dare l’idea che voglia spingere il cavallo ad un ultimo grande sforzo. Inoltre il giovane vestito di una semplice veste del tempo si gira come se voglia controllare eventuali avversari della gara. Tutto questa tensione e movimento ci trasmettono delle emozioni e un forte pathos. Lo sguardo di chi osserva l’opera poi tende a spostarsi da essa verso un punto avanti ad essa nella direzione del moto.

Un’altra statua greca che ci è giunta anche nel suo originale in bronzo è l’auriga di Delfi.

Auriga di Delfi
Auriga di Delfi

L’auriga di Delfi è l’unica parte che ci è rimasta integra di un gruppo bronzeo realizzato attorno al 475 a.C per celebrare la vittoria di Hieron nella corsa con i carri durante i giochi Pittici (giochi che si svolgevano ai piedi del monte Parnasso in onore del dio Apollo Pizio. Originariamente si svolgevano ogni otto anni a ricordare simbolicamente il tempo del esilio di Apollo presso gli Iperborei, mentre poi si passò a celebrarli ogni quattro anni). Il gruppo comprendeva, oltre all’auriga, il principe, uno schiavo, alcuni cavalli e il carro. L’auriga ha il corpo coperto da un chitone ( abito tipico greco che veniva chiuso in vita e che si differenziava dal peplo che invece veniva chiuso sulle spalle da due fibie) mosso da numerose pieghe e stretto sopra la vita da una fascia. Sulle spalle e gli avambracci le pieghe sono diagonali, in corrispondenza del collo formano delle v e piano piano diventano più morbide, diventando verticali per tutta la lunghezza del chitone dalla cinta fino all’orlo, poco più in su delle caviglie. I capelli sono cesellati, si gonfiano e diventano ricci in corrispondenza delle tempie, poco sotto la benda, unico premio simbolico della vittoria. La testa è leggermente ruotata verso la sinistra del osservatore. La statua ci sembra ancora molto rigida, nonostante l’accorgimento dello scultore di far incurvare indietro il busto della statua assecondando il gesto delle braccia di trattenere le redini cercando di fermare i cavalli, il soggetto è ancora statico. Certamente bisogna considerare che la parte inferiore della statua, dalla cintura in giù, era nascosta dietro allo schermo protettivo anteriore della carrozza e che quindi la parte inferiore della statua non concorreva a dare l’idea del movimento che lo scultore cercava di dare con i piccoli accorgimenti che coinvolgevano la parte superiore della statua.

I Bronzi di Riace

Sempre dal luogo in cui sono stati ritrovati prende il nome un complesso di due statue bronzee che sono conosciute come I Bronzi di Riace. Queste due statue, il Bronzo A e il Bronzo B, sono state ritrovate in mare nel 1972 durante l’immersione di un sub a largo di Riace nei pressi di Reggio Calabria dove ora sono conservati nel Museo Nazionale. i sono due teorie riguardo al perchè del loro ritrovamento in mare, secondo la prima sarebbero finiti in acqua dopo un tragico naufragio mentre per la seconda sarebbero stati buttati in mare dai marinai durante una terribile tempesta per alleggerire il carico della nave. Dopo essere state ritrovate venero restaurate a Firenze, all’opificio delle pietre dure. Nel 1980 vennero esposte in una mostra e successivamente trasportate al museo di Reggio Calabria. Il mare le ha preservate restituendoci due tesori, statue originali, e non copie successive, di incredibile fattura conservate molto bene. I nomi attribuiti alle due statue sono convenzionali poichè non si conosce l’identità delle dei due soggetti , sono state fatte soltanto delle supposizioni. Recentemente le due statue attribuite ad due artisti differenti, il Bronzo A ad Agelàda il Giovane, un bronzista di Argo, maestro di Fidia, Mirone e Policleto, mentre il Bronzo B invece si pensa sia stato realizzato da Alcamene il vecchio originario di Lèmno. Entrambe le statue si pensa siano state realizzate attorno al 450 a.C. per un monumento destinato all’acropili di Argo. Il monumento era stato voluto da argivi e ateniesi in ricordo dei “sette contro Tebe” e degli Epigni. Quindi si tratterebbe di due degli eroici sette guerrieri protagonisti dei miti, i quali al comando delle proprie truppe, dettero l’assalto alle sette porte della città di Tebe morendo tutti, tranne Adrastro, re di Argo. Dieci anni dopo gli Epigoni, cioè i figli dei Sette, ripeterono l’impresa, uscendone vincitori. Per il Bronzo A è stata proposta l’identificazione con Tideo, sanguinario guerrieri che durante l’aspra guerra per appropriarsi di Tebe, si diceva si fosse macchiato di cannibalismo. Questo incredibile peccato gli venne negata l’immortalità che Atena, sua protettrice gli voleva dare. Mentre il Bronzo B si pensa essere Anfiaro, uomo rispettato dagli dei e dotato del dono della profezia. Le statue sono state tolte dalle loro basi originali e appoggiare su un supporto in marmo antisismico, costituito da due lastre sovrapposte. Nella parte interna di entrambe le lastre cono state fatte quattro calotte conche all’interno delle quali sono state appoggiate delle palline di marmo che servono a dissipare le solllecitazioni orizzontali dei terremoti. Per le sollecitazioni verticali sono stati aggiunti dei dissipatori in acciaio inox. Durante il restauro a Firenze le due statue vennero alleggerita, infatti, vene tolta dal loro interno dell’ argilla de. Sono ora conservati al museo archeologico di Reggio Calabria dove sono mantenuti ad una temperatura costante e sono ammirati da milioni di visitatori ogni anno che prima di entrare nella loro stanza asettica a piccoli gruppi devono trascorrere alcuni minuti in una stanza per ripulirsi da tutti gli agenti esterni che potrebbero danneggiare le due statue.

Bronzo A o Tideo:

bronzo a
Bronzo A

La statua è alta 195 cm è il bronzo è spesso circa 8,5 mm. È rappresentato come un giovane dai lunghi capelli ricci, anche la barba e lunga e folta e termina in boccoli che gli sfiorano il petto. Entrambi i guerrieri sono rappresentati senza armi e senza scudo. È rappresentato con le spalle larghe, il  busto eretto con le spalle tirate indietro, appoggiato a terra saldamente con entrambe le piante dei piedi. Il peso poggia sulla gamba destra mentre la sinistra è leggermente flessa, avanzata leggermente verso l’esterno. Il braccio destro è disteso lungo il fianco mentre quello sinistro è flesso. La testa e lo sguardo sono rivolti verso destra. Le spalle sono orizzontali e la sinistra è leggermente arretrata. Il bronzo A è più slanciato e scattante e le forme dei muscoli sono più calcate ed esasperate. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la fascia che gli cinge il capo poco sopra le tempio rappresenti una fascia di lana che veniva utilizzata dai guerrieri per diminuire la pressione che l’elmo doveva esercitare la la testa. L’elmo doveva essere appoggiato alla testa lasciando scoperto il volto e parte della pronte. Nella mano sinistra, sia nel Bronzo A che nel Bronzo B, è rimasto il bracciale dove si doveva innestare lo scudo.

Bronzo B
Bronzo B

Il bronzo B è alto 205 cm e lo strato di bronzo è spesso 7,5 mm. La posizione è la stessa del bronzo A , ma le membra sono più rilassate, i muscoli meno esasperati e la linea alba, la linea che divide verticalmente il torace dall’inguine fino alle clavicole è più morbida, flessuosa ed arcuata. Ha le proporzioni più massicce e meno slanciate. La testa è quasi frontale, il moto verso destra è leggerissimo, lo sguardo è rivolto verso l’osservatore. La testa è allungata, questa forma venne impiegata perché probabilmente doveva essere racchiusa in un elmo. Il corpo forma il tipico chiasmo. Il movimento dell’ anca destra e della spalla sinistra sono più accentuati rispetto al bronzo A. Si pensa che questa statua sia leggermente successiva alla precedente perchè è più influenzata dai canoni policleti, e quindi più tendente allo stile classico, rispetto al Bronzo B che invece sembra appartenere ancora al periodo dello stile severo.

Il pugile a riposo di Fidia:

Altra statua bronzo che ci è pervenuta è il  “pugile a riposo” di Lisippo. Una statua alta alta 128 cm e datata la seconda metà del IV secolo a.C. attribuita o a Lisippo o a un artista della sua cerchia. La statua è stata rinvenuta nel 1885 alle pendici del Quirinale, insieme alla statua il “Principe ellenistico” ed ora è conservato al museo nazionale romano. La statua non è un unico pezzo ma è stata realizzata a pezzi che poi sono stati fusi insieme.

Pugile a riposo FIdia
Pugile a riposo Lisippo

Questa statua sottolinea una personale ricerca di Lisippo. Infatti, lo scultore non vuole tanto sottolineare la perfezione esteriore del corpo ma la bellezza e la forza interiore di superare le avversità e superare le sofferenze e la decisione. In questa statua tale determinazioni è sottolineata dai lividi, dalle ferite ancora sanguinanti per i colpi ricevuti poco prima durante il combattimento, la deformazione del naso, il grande ematoma sotto l’occhio destro la rientranza del labbra superiore dovuta al mancanza dei denti. È  un uomo maturo con una capigliatura e  una barba riccia che gli incorniciano il volto, curata e definita nei dettagli. Le ferite ancora sanguinati vengono rappresentate con delle applicazioni in rame come sulla spalla, l’avambraccio, i guanti e la coscia.

Pugile a riposo Fidia, dettaglio del viso
Pugile a riposo Lisippo, dettaglio del viso

Il volto è girato alla destra del pugile che osserva l’arbitro dell’incontro in attesa del verdetto. Il pugile è infatti mostrato nell’attimo subito successivo alla fine dell’incontro, mentre seduto si riposa in attesa del verdetto.  Secondo alcuni il pugile avrebbe bisogno di voltarsi perchè i vari combattimenti avrebbero lasciato segni non solo esteriori ma anche la difficoltà nel sentire, testimoniata dall’occlusione dei padiglioni auricolari, come dimostrano le tumefazioni sulle orecchie. Per questo motivo il pugile volta il capo per leggere sul volto dei giudici il verdetto o per vedere il plauso del pubblico. Questo per LIsippo era il Kairos, ovvero il momento supremo, opportuno per immortalare l’atleta, momento in cui succede qualcosa di speciale (il kairos definisce un momento qualitativamente importante). Le mani sono protette da cesti, grossi guantoni. Le quattro dita sono infilate in un anello costituito da tre fasce in cuoio e da alcune borchie in metallo per tenerle strette. Il corpo muscoloso è in una posizione statica, in equilibrio, solo il moto della testa rompo la stasi. La figura è seduta con il busto inclinato in avanti e le braccia appoggiate sulle cosce. L’intensità dello sguardo ci viene trasmesso non dagli occhi, oggi mancanti, ma dalle sopracciglia che danno espressività. Anche le labbra socchiuse enfatizzano l’attesa che viene immortalata da Lisippo. Questi dettagli che conferiscono una forte espressività ci fanno sembrare il pugile ancora vivo  come se da un momento all’altro stesse per fare qualcosa. La descrizione realistica e minuziosa dei volti ha fatto si che fossero avanzate delle ipotesi sull’identità del pugile ritratto.

Il principe ellenistico:

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Il principe ellenistico

Questa statua è stata ritrovata insieme al pugile al riposo nelle terme al Quirinale nel 1885. La statua è alta 204 cm ed è datata approssimativamente 180-160 a.C. La statua rappresenta un giovane con pochissima barba in posa eroica, è appoggiato con la mano sinistra su di una lunga asta. Sono andati perduti gli occhi e probabilmente o un elmo o una corona che dovevano cingergli il capo. Il soggetto non è stato identificato con nessun personaggio preciso. Le gambe sono affusolate e si espandono in corrispondenza delle anche aiutando a slanciare la figura, la parte superiore, il torso e le braccia, della figura è muscolosa e massiccia, sono sottolineate le linee di prominenza e i solchi di partizione. La muscolatura così definita dà origine a un gioco di luci ed ombre, un vivace chiaro scuro che si dipinge sulle membra della statua.  Tutto questo è possibili grazie alla nudità eroica del suo corpo. La linea alba è morbida e flessuosa e segue il canone della ponderazione policletea. Mentre la testa è più piccola del criterio di proporzione che la vorrebbe uguale ad 1/8 del resto del corpo. Il capo è ruotato verso la destra della statua. I capelli sono divisi in ciocche ondulate che gli coprono tutta la testa. La volontà di uscire fuori da uno schema rettangolare è data dal braccio che si allunga appoggiandosi all’asta mentre il braccio destro è portato dietro la schiena. Il peso è appoggiato sul piede destro mentre il sinistro appoggia solamente la parte anteriore ed è leggermente arretrata.

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